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Giorno 59 - Andrano, km 17386

Giorno 59 - Andrano, km 17386

/ Lunedì, 05 Marzo 2018 20:02

Da dove inizio a raccontare il giorno più lungo ed emozionante del viaggio? Da dove inizio a descrivere il giorno più entusiasmante degli ultimi anni? Fin da quando sono partito ho pensato che la più grande emozione sarebbe stata arrivare a Capo Nord, laddove mi ero prefissato di arrivare, ma avevo sbagliato, perché il vero obiettivo era terminare il viaggio, non arrivare a metà perché, appunto, Capo Nord era solo il giro di boa.

Ho pensato a tanti ipotetici scenari nei quali si poteva concludere l’esperienza, ma nessuno prevedeva il non approdo ad Andrano, nel paese in cui sono cresciuto. Sarei arrivato trionfante, avrei clacsonato negli ultimi 5 chilometri, mi sarei fermato al bar del paese dicendo a mio padre di venire in piazza; pensavo anche che negli ultimi giorni avrei fatto un incidente (non è pessimismo, ma è probabile che accada in 17mila chilometri) e che sarei ritornato in treno, che l’auto si sarebbe fermata e qualcuno sarebbe venuto a prendermi. Qualsiasi scenario, sul serio, ma io dovevo arrivare ad Andrano.

La mattina, non fosse stato per mio zio, sarei entrato nella zona a traffico limitato per prendere una dei tre passeggeri che avrei portato con me, fino in Puglia: ci eravamo dati appuntamento vicino alle due torri, poi, la sera prima, abbiamo deciso di dirottare sul piazzale della stazione centrale.

“Di dove sei?”
“Di Martina Franca, ma ho il fidanzato a Tricase”
“A Tricase? Io ci ho vissuto 5 anni, chi è? Magari lo conosco” “Lorenzo”

“Davvero? Quel Lorenzo? Lo conosco davvero, abbiamo frequentato lo stesso anno del liceo in sezioni diverse”

“Ma dai; sto scendendo per fargli una sorpresa”
“Anche io sto facendo una sorpresa alla mia famiglia”.

Così per tutto il viaggio, parlando delle amicizie in comune, delle associazioni del territorio, della situazione disastrata del meridione, di quanto sarà bello arrivare a casa e vedere la faccia sorpresa dei nostri cari.

Sul sedile posteriore una coppia di fidanzati con un gatto, che era come non esistessero: tutti e tre dormienti per l’intero viaggio; invece io e la mia nuova amica ce la spassavamo chiacchierando tutto il tempo. Ogni tanto lei, che era la prima volta che usava questo stupendo sistema di condivisione dell’auto, esclamava “Madò, siamo già a Pescara”, “Nah, diggià siamo in Puglia, come vola il viaggio”.

Facile dire che siamo in Puglia, è mezzo tragitto: sono 400 km da Foggia ad Andrano... è davvero lunga, ma dopo 21 nazioni ero nel mio paese, nella mia regione. Avendo mezza famiglia barese, la mia zona di comfort inizia in quella provincia, quando leggo i cartelli della statale 16 bis con uscita Giovinazzo sud. Iniziavo già a sentirmi a casa e percepivo anche il cuore che a tratti aumentava il ritmo, giusto quando nei pensieri compariva il volto della mia sorellina, o della mia cagnolina, o della mia famiglia unita attorno al tavolo.

A Brindisi ho lasciato i primi due passeggeri, attento che dimenticassero le 5 valigie, due zaini, due buste di plastica e il trasportino con dentro il gatto, e una volta entrato nella tangenziale di Lecce il cuore ha avuto un vero e proprio sussulto. Potete presumere che stia esagerando, che stia inventando: vi capirei; oppure potete cercare di comprendere cosa significhi per me tutto ciò e credermi sulla parola.

Superavo Zollino, Maglie, Scorrano, Montesano, quindi Tricase, dove ho salutato Chiara e ho preparato le due telecamere per registrare il momento di arrivo a casa: la Canon, montata sul treppiedi e fissata al sedile con la cintura di sicurezza, rivolta verso la strada, e il cellulare, agganciato al cruscotto per mezzo di una calamita, verso di me. La mia idea era di usare le riprese per la chiusura del video relativo al viaggio, perché capaci di raccogliere i movimenti inconsci delle labbra e quelle piccole smorfie degli occhi e della fronte che racchiudono stress, tensione e felicità al contempo, ma soprattutto penso che potrà essere la mia personale testimonianza di avere compiuto un’impresa, un’impresa personale, di un valore enorme in termini di autostima, di esperienza, di superamento dei miei limiti: di traguardo raggiunto.

Da lontano intravedo le luci intermittenti del segnale di benvenuto ad Andrano, per coincidenza posto esattamente dove inizia il viale di casa. Mi sentivo emozionato ma anche preoccupato.

“Se arrivassi e non ci fosse nessuno a casa? – pensavo – Che delusione sarebbe!”

Ero troppo voglioso di rivedere i miei cari per fermarmi a 300 metri dall’ingresso, inventare qualche stratagemma per assicurarmi che fossero in casa, e poi ripartire, quindi ho azionato la freccia sinistra, ho rallentato e mi sono fermato davanti al cancello automatico.

Citofonare e dire “Sono Davide” non mi dava soddisfazione, molto meglio scavalcare, aprire manualmente il cancello ed effettuare un ingresso sornione davanti al portico di casa.

Giorni dopo ho rivisto l’ultimo minuto del video ho notato le labbra allargarsi sempre più, come fosse qualcosa di una categoria differente al sorriso. Credo si possa definire come gioia. Felicità. Ero quello che sentivo. Ero felice, come lo sono stato molte altre volte in questo viaggio, ma, chiaramente, in quel momento lo ero molto di più. Era un tipo di felicità multipla. Felice per avere raggiunto un traguardo, felice per l’accumularsi di esperienze che non credevo mi avrebbero entusiasmato tanto, felice per scorgere il petto nudo di mio padre, seduto sul tavolo del porticato. Ha piegato la testa verso il basso, come per concentrarsi meglio e capire di chi fosse quell’auto, poi lo ha capito e ha sorriso. Non è una persona di molte parole, ma le poche che pronuncia portano peso, soprattutto non è uno che concede molte soddisfazioni, non è uno che esprimerebbe la contentezza di vedermi. Difatti, appena sceso dall’auto, il suo “E tie che cazzu faci quai?” (e tu che cazzo fai qua?) ha completato l’atmosfera, mai come questa volta magica.

È stata la volta di Chicca, la mia cagnolina di otto anni che è abituata a vedermi poche volte l’anno: era felice, non riusciva a controllare la foga; l’ho abbracciata, l’ho presa in braccio, ma ha guaito per averla presa male, mi sono fatto leccare, anche in viso (dov’è il problema se poi mi lavo la faccia?), l’ho stretta forte a me più e più volte; è voluta scendere, ha saltellato per dieci secondi ed ha voluto salirmi di nuovo addosso; ha guaito di nuovo, segno che ha qualche problema che non dipende da come io la afferri, poi ha voluto scendere ancora, ha iniziato a girarmi attorno, e l’ho fatta risalire in braccio, per la terza volta, mentre lei si aggrappava alla mia spalla, come si tiene solitamente un bambino.

Finalmente papà è andato a chiamare mia sorella che fino a quel momento non si era accorta di nulla; ha gridato “Daddeeee” ed è corsa per abbracciarmi stringendomi forte. Ero in paradiso e non capivo nulla; cosa sia successo, dove sia stato, cosa abbia imparato, quanto abbia sofferto, quanto sia cambiato, quanto abbia speso; sono dove volevo essere, con chi volevo essere, quando volevo esserci. Posso dirlo? Grazie a me e a nessun altro. Non ho idea di chi e come mi abbia aiutato e soprattutto se mi abbia aiutato; non ci credo e non mi interessa; so che io ho fatto il possibile perché ciò accadesse e il merito è mio, di nessun altro, fisico o metafisico.

Sono felice; sono un uomo fortunato; a volte la fortuna e la felicità bisogna andare a cercarle, bisogna conquistarle, hanno un sapore diverso.

Potrei visitare ogni angolo del pianeta, ma nessun posto sarà mai bello come casa mia.

Mi sento a casa. Sono a casa. Ho vinto.

 

Sulla pagina Facebook AUventura – Davide Urso potete trovare le foto, chilometro per chilometro.

 

Le immagini del 59° giorno

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